martedì 14 aprile 2015

In low places.


14 Aprile 2517.
Horyzon, Capital City.


La stanza del motel è immersa in un silenzio malato, asettico come l'arredamento minimal e il pavimento lucido della business suite da dieci dollari all'ora con vista sul Porto Federale. La switch, tagliata con stricnina e polvere di vetro, mangia le vene scavandosi la via fino al cervello, atrofizzando i battiti del cuore schiacciato nella morsa del peso invisibile che affatica i polmoni come se stessero cercando di respirare fango.

Edison Hunt è nato per correre, dentro o fuori da un circuito, dentro o fuori dal proprio corpo. Per annullarsi nella velocità pura di una moto, di una nave spaziale, ridotto a consumare se stesso nell'oblio artificiale della droga per sfuggire al senso di immobilità che lo costringe a vivere la vita al ritmo lento di un'umanità con cui non riesce a sincronizzarsi. Sid ha l'impressione di non riuscire a stargli dietro anche mentre lo guarda contorcersi nel sudore freddo, sul futon sgualcito e macchiato di sangue dall'hypospray abbandonato a rotolare fra le lenzuola, deglutendo la nausea e il ronzio delle auto distanti, i cui fanali non arrivano a investire i vetri delle finestre al trentaduesimo piano. Inietta le dita di una mano tremante fra i boccoli madidi con una manovra imprecisa, liberandosi la fronte e cercando di ricordare il trionfo dell'estasi chimica che gli ha squagliato i lombi e colmato il cervello di luce bianca, il torpore liquido che l'ha fatto sentire intrappolato nel proprio corpo inerte, gelatinoso come una medusa, in un angosciante orgasmo d'impotenza. Tossisce piano nel silenzio, sfregando le labbra contro la manica del maglione rimboccato fino al buco livido nell'incavo del gomito, masticando l'arsura e contemplando senza speranza l'ipotesi impossibile di strisciare fino al lavandino del bagno. Prova a chiudere gli occhi, a immaginare la mamusia di Zeno che prega in una stanza piena di angeli che non ascoltano, ma riesce soltanto a contare come i grani di una mala buddista le vertebre della schiena esile di Nina, sprofondata nella switch a parsec di distanza. Il polskie gliel'ha detto, devi trovarti amici migliori, angel. Sennò non ne esci più. Quella merda ti segue ovunque. Allunga una mano alla cieca in cerca della camicia ricamata di Edison, scavalcandone l'orlo sgualcito per aprire il palmo ruvido alla base della sua schiena, ascoltando il rumore della sua pelle sotto le dita come un crepitio di carta velina. Hunt stesso gli sembra fatto di carta ripiegata, leggero e funzionale come un origami. Vorrebbe provare pietà per la sua condizione di uccello in gabbia, ma l'empatia va e viene come la luce intermittente di un neon scarico. Sid si stringe in se stesso nel silenzio pesante, rancido di sudore, premendo la fronte contro la nuca di Edison per respirare la sfumatura itterica del suo odore, ossidato e rossiccio come la ruggine. Con il mantra della compassione cucito dentro un braccio ed il morso della switch inciso sull'altro, prega la ruota del karma di fermarsi un momento per farlo scendere, stringendo le palpebre contro la vertigine che gli risucchia il cervello e lo stomaco.

All'alba si scopre ancora vivo. Il pavimento lucido incrostato di succhi gastrici, Edison sveglio e triste come un alcolista sobrio, Zeno e Nina collassati in chissà quale altro angolo del 'Verse. Il cuore si riempie e si svuota di sentimento a ogni battito e le due metà del suo cervello spezzato continuano a non combaciare. Si massaggia l'interno dell'avambraccio con un sorriso assente.

Dopotutto, preferisce i tossici alla dipendenza.