lunedì 22 dicembre 2014

Discipline.


29 Aprile 2505.
Berishan, Afghana.

Il tavolo da pranzo è talmente lungo che Siddartha avrebbe tutto il tempo alzarsi e di sgusciare via, mentre Donald lo percorre da un capo all'altro, ma una mano invisibile ne schiaccia le ossa fra i braccioli della sedia costringendogli le pupille dilatate sui lineamenti angolosi che gli navigano incontro, congestionati in una maschera di severità inviolabile. La prima carezza delle sue dita fra i capelli gli spegne un brivido fra le scapole, prima che Don afferri brutalmente le ciocche chiare per spingergli la faccia nel piatto con uno strattone violento.

L'impatto gli rende le ossa del viso dolenti e la testa leggera, svuotandola dal rubinetto aperto delle narici.

Non doveva arrivare a cena in ritardo. Non con quel sorriso ostinato arricciato sulle labbra e l'odore di bloom addosso. Se ne pente ora che è troppo tardi, mentre cerca di respirare attraverso l'impasto di sangue e crema di gamberi che gli ha riempito le fauci e il naso. Il colpo di tosse che lo scuote non fa che rendere più dolorosa la morsa sui propri capelli; il fiotto di voce che gli risale la gola è reso ovattato e pastoso dall’ostacolo denso che riempie il palato.

« … Mi dispiace. »

Non sa da dove gli venga tutta quella calma. Sente la tosse bruciare il fondo dei polmoni, mentre un conato di nausea gli rivolta lo stomaco. Le dita affusolate, aggrappate alla base dello schienale, pulsano di una smania convulsa che non riesce a farsi largo nella voce.

Don apre la mano lentamente, sfilandogli dal cranio le migliaia di spilli affondati dentro il cuoio capelluto. Incombe su di lui con la leggerezza distaccata dei carnefici indifferenti. La pressione del palmo lo tiene immerso nel piatto come dentro una fonte battesimale, obbligandolo ad annaspare e a ricacciare indietro gli spasmi dell'esofago mentre succhia e deglutisce la pietanza infettata di sangue. La forza dell'abitudine fa sì che non impieghi più di una decina di minuti a leccare via l'ultimo baffo di crème rugginosa.

I polpastrelli tiepidi di Don gli sgusciano lungo la nuca, elargendo una carezza intenerita che increspa la pelle di Sid come il passaggio di un cubetto di ghiaccio.

« Nǐ ràng wǒ shīwàngle hěnduō. »
(You let me down a lot).

Gli ricorda in un mormorio vuoto, curvandosi a baciargli svogliatamente una tempia prima di riconquistare senza fretta l'altra estremità del tavolo. Scivola a sedere con quiete distratta, spogliata di eccessi dall'impronta marziale che ha cucita addosso come una seconda pelle.

« Pulisciti la faccia. »

venerdì 19 dicembre 2014

It's the atrocities of your story.


22 Giugno 2512.
Blackrock, Puebla.

Qian Dubois è nervosa, piena di blast, nauseata dall'odore della carne bruciata che comincia a coprire come una marea l'accalcarsi sempre più ovattato delle grida provenienti dall'interno del capanno. Si sente le mani sudate, il calcio pesante della pistola sembra volerle scappare ostinatamente dalle dita.

I colpi di una tosse convulsa stroncano il pianto acuto che ha sovrastato ogni voce fino a questo momento. Qian distoglie bruscamente lo sguardo dal bagliore ipnotico delle fiamme e trova il profilo di Beaumont immobile, calcificato in un biancore madido e silenzioso, sfaldato solo dagli spasmi della mandibola e dal movimento silenzioso, costante, delle labbra.

« Om Mani Padme Hum. »

Ci sono soprattutto donne e bambini intrappolati fra il legno vecchio e le fiamme che stanno divorando la baracca insieme al suo contenuto di vite scomode.

Qian fa poche domande, sa soltanto che ci sono di mezzo la produzione locale di switch e una certa Annie Garmendia, molto amata dalla comunità, che si è illusa di poter infilzare il drago come il San Giorgio inciso sulla medaglietta che le hanno strappato dal collo. Baylong ha voluto fare di lei e del suo centro un esempio e Liu è stata molto chiara, a nessuno è stata fatta la grazia di un proiettile che gli risparmiasse l'agonia del fuoco.

Dall'interno hanno smesso di battere disperatamente contro la porta e le finestre inchiodate. Ancora qualche minuto e il lavoro sarà finito. Siddartha espira rumorosamente attraverso il naso, senza poter scacciare l'odore della morte che si leva verso il cielo in volute di fumo nero, e spinge le dita di una mano fra i capelli lunghi, arricciati come lingue di fiamma, allontanando le ciocche chiare dalla fronte per cercare la compagna alla propria destra e sfuggire per qualche secondo alla visione logorante dell'incendio fattosi silenzioso. È in quel momento che si accorge del ragazzino di tredici, forse quattordici anni, che è sgusciato fuori dalla pila di vecchi cartoni sotto cui si era nascosto e ha voltato le spalle al massacro per correre via attraverso la notte.

La canna della PK12 si solleva più svelta del pensiero, le spalle di Qian singhiozzano violentemente quando il colpo rimbomba attraverso la notte.

La sagoma del ragazzino incespica e si rovescia sull'asfalto.

Quando Dubois si volta, Beaumont sta già coprendo la distanza per chinarsi sul fuggitivo che, piangendo e strisciando sui gomiti, trascina il polpaccio maciullato sul cemento con ostinazione disperata.

Siddartha rabbrividisce dal retro delle ginocchia e cerca di deglutire le palpitazioni del cuore incastrato in gola, che gli soffoca il respiro. La bocca di fuoco sta ancora fumando quando la riallinea con la testa del bersaglio, sbrogliando un filo di fiato tremante di eccitazione sconvolta.

« Ti accolgo nel mio karma. »

Il secondo colpo esploso gli rimbomba fra le tempie come un tuono, trasformando il pulsare della blast e dell'adrenalina in un violento conato di nausea. Lo ricaccia in gola e barcolla lentamente all'indietro.

« Merda. »

Qian fa scivolare lo sguardo sul cadavere schiacciato a terra, dentro la pozza di sangue che si allarga sotto il suo viso, e poi contro il profilo teso di Siddartha. Torce il collo per gettare un'occhiata alle proprie spalle, quando il tetto del capanno collassa in uno schiocco di legno carbonizzato, trovando le ombre affilate di Bo e Travis che, attirati dal boato degli spari, sono riemersi dal retro della baracca con le armi in mano.

Beaumont rinfodera la propria, raschiando il labbro inferiore con i denti per ingoiare un grumo di saliva acida.

« Bruciamolo con gli altri e andiamocene. »

Il nero del fumo gli è rimasto invischiato nei polmoni come colla.




Then he falls to the floor,
for there's many more tears on the sunrise 
and now we must eat those tears. 
Now we must eat our fill 
of the atrocities.